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venerdì 15 marzo 2013

Tutine azzurre e rosa astenersi! Una riflessione sul genere

Ricordo ancora vividamente il giorno in cui la tanta attesa ecografia morfologica ci ha annunciato senza ombra di dubbi che nella nostra vita sarebbe arrivato un pimpante maschetto. A parte lo smarrimento iniziale dovuto a mesi e mesi di pronostici e osservazioni della mia pancia che, analizzando le mie rotondità, avevano convinto i più dell'arrivo di una femminuccia, pensai subito con sgomento alla valanga di body, tutine, magliette, calzini e felpine azzurre, di quell'azzurro sbiadito, che avrei ricevuto.
Così, in un impeto improvviso, nel comunicare la notizia al mondo, aggiunsi: "tutine azzurre astenersi".

Ricordo ancora e con una punta di rammarico i momenti della mia infanzia quando, a causa dei miei "bad hair days", ero costretta a portare un cappellino con la visiera e il mio look non trapelava molto la mia femminilità. Se è vero che una gonna e il rosa fanno bambina, nel mio caso questo non bastava.
Una volta, nonostante portassi indumenti femminili, quel mio berretto e l'assenza di una chioma fluente, spinsero una donna a definirmi "un bambino", cosa che mi mortificò moltissimo e che sul momento mi impedì di rispondere a tono: "ma non vedi che ho una gonna?".

Perchè i colori, l'abbigliamento, l'aspetto sono ancora così discriminanti? 
Ci sono ancora genitori che crescono i loro figli con la convinzione che se ti vesti di viola sei un bambino effemminato e se porti calzoncini e i capelli corti sei un maschiaccio? Perfino i giochi sono etichettati: un giorno di qualche mese fa, in centro gioco educativo, ho assistito alla scena di una mamma che velatamente rimproverava il figlio perchè sceglieva un gioco con un coniglietto o una papera (roba da donne!) invece che uno con un bel drago o un animale feroce. 
Mi ritengo fortunata: da piccola ho potuto giocare come volevo, avevo valanghe di bambole e peluche, ma anche un vasto assortimento di macchinine da far invidia ai miei amichetti.




Per mio figlio non mi sto ponendo nessun problema: io adoro i colori e glieli propongo tutti (ok, ho anche rivalutato un po' l'azzurro), nella sua camera domina l'arancione e non mi si è accapponata la pelle quando un'amica mi ha prestato la giacca della sua bimba per l'inverno. Spesso mi sento dire "Che bella bambina!" per via dei suoi occhioni e delle ciglia lunghe ... io rispondo che è un maschio, ma non mi offendo! Da mamma orgogliosa del suo pulcino, so che il suo sguardo è davvero magnetico e mi fa piacere se viene notato.

Anche nell'universo dei libri mi sento fortunata: ho letto di tutto, dai romanzetti femminili ai thriller e questo mi ha fatto capire che non esistono testi per maschi e per femmine, ma solo buona e cattiva letteratura, autori che meritano e altri che ci hanno provato.
A proposito di libri, ve ne consiglio uno adatto a grandi e piccini. L'autrice, Bianca Pitzorno, è una vera pietra miliare dell'editoria per ragazzi e questo testo, "Extraterrestre alla pari", andrebbe letto in tutte le scuole.



In un'epoca sconosciuta, si è stabilito un collegamento tra la Terra e un pianeta lontano. Le famiglie extratterestri possono far partecipare i loro figli a un vero e proprio scambio culturale nel quale quest'ultimi si intrattengono sulla Terra per dieci anni e vivono con i loro nuovi genitori terrestri. 
Mo arriva così sulla Terra e la sua famiglia adottiva ne è entusiasta. Ma c'è un piccolo problema. Sul pianeta di appartenenza il tempo scorre diversamente e fino ai 50 anni gli abitanti non hanno un sesso definito.
Questa notizia getta i terrestri nel panico. Come si può far crescere ed educare una persona senza sapere se è maschio o femmina?
Comincia così un complesso e ironico percorso di conoscenza: si fanno esami del sangue, test psicoattitudinali e altre indagini. Se all'inizio Mo viene classificato come maschio e quindi vestito, intrattenuto, educato come tale, all'improvviso si scopre che in realtà è una giovane donna e tutto deve essere cambiato: la scuola, gli amici, il look, le attività da fare, perfino l'arredamento della stanza.
Mano a mano che si procede nella lettura, assumiamo sempre più il punto di vista di Mo, sbigottito e anche deluso dal modo con cui i terrestri etichettano le persone, precludendo loro determinate possibilità.
Non vi racconto la fine del romanzo, ma è ovvio che, al di là dell'assurdità della situazione, è evidente come la nostra società metta in atto una serie di meccanismi impliciti e sottili di definizione sociale.
In fondo me lo dicevano anche all'università: "il sesso è natura, il genere è cultura".

Questo post partecipa all'iniziativa Blog tank del mese di Marzo.

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