Ricordo ancora vividamente il giorno in cui la tanta attesa ecografia morfologica ci ha annunciato senza ombra di dubbi che nella nostra vita sarebbe arrivato un pimpante maschetto. A parte lo smarrimento iniziale dovuto a mesi e mesi di pronostici e osservazioni della mia pancia che, analizzando le mie rotondità, avevano convinto i più dell'arrivo di una femminuccia, pensai subito con sgomento alla valanga di body, tutine, magliette, calzini e felpine azzurre, di quell'azzurro sbiadito, che avrei ricevuto.
Così, in un impeto improvviso, nel comunicare la notizia al mondo, aggiunsi: "tutine azzurre astenersi".
Ricordo ancora e con una punta di rammarico i momenti della mia infanzia quando, a causa dei miei "bad hair days", ero costretta a portare un cappellino con la visiera e il mio look non trapelava molto la mia femminilità. Se è vero che una gonna e il rosa fanno bambina, nel mio caso questo non bastava.
Una volta, nonostante portassi indumenti femminili, quel mio berretto e l'assenza di una chioma fluente, spinsero una donna a definirmi "un bambino", cosa che mi mortificò moltissimo e che sul momento mi impedì di rispondere a tono: "ma non vedi che ho una gonna?".
Perchè i colori, l'abbigliamento, l'aspetto sono ancora così discriminanti?
Ci sono ancora genitori che crescono i loro figli con la convinzione che se ti vesti di viola sei un bambino effemminato e se porti calzoncini e i capelli corti sei un maschiaccio? Perfino i giochi sono etichettati: un giorno di qualche mese fa, in centro gioco educativo, ho assistito alla scena di una mamma che velatamente rimproverava il figlio perchè sceglieva un gioco con un coniglietto o una papera (roba da donne!) invece che uno con un bel drago o un animale feroce.
Mi ritengo fortunata: da piccola ho potuto giocare come volevo, avevo valanghe di bambole e peluche, ma anche un vasto assortimento di macchinine da far invidia ai miei amichetti.
Per mio figlio non mi sto ponendo nessun problema: io adoro i colori e glieli propongo tutti (ok, ho anche rivalutato un po' l'azzurro), nella sua camera domina l'arancione e non mi si è accapponata la pelle quando un'amica mi ha prestato la giacca della sua bimba per l'inverno. Spesso mi sento dire "Che bella bambina!" per via dei suoi occhioni e delle ciglia lunghe ... io rispondo che è un maschio, ma non mi offendo! Da mamma orgogliosa del suo pulcino, so che il suo sguardo è davvero magnetico e mi fa piacere se viene notato.
Anche nell'universo dei libri mi sento fortunata: ho letto di tutto, dai romanzetti femminili ai thriller e questo mi ha fatto capire che non esistono testi per maschi e per femmine, ma solo buona e cattiva letteratura, autori che meritano e altri che ci hanno provato.
A proposito di libri, ve ne consiglio uno adatto a grandi e piccini. L'autrice, Bianca Pitzorno, è una vera pietra miliare dell'editoria per ragazzi e questo testo, "Extraterrestre alla pari", andrebbe letto in tutte le scuole.
In un'epoca sconosciuta, si è stabilito un collegamento tra la Terra e un pianeta lontano. Le famiglie extratterestri possono far partecipare i loro figli a un vero e proprio scambio culturale nel quale quest'ultimi si intrattengono sulla Terra per dieci anni e vivono con i loro nuovi genitori terrestri.
Mo arriva così sulla Terra e la sua famiglia adottiva ne è entusiasta. Ma c'è un piccolo problema. Sul pianeta di appartenenza il tempo scorre diversamente e fino ai 50 anni gli abitanti non hanno un sesso definito.
Questa notizia getta i terrestri nel panico. Come si può far crescere ed educare una persona senza sapere se è maschio o femmina?
Comincia così un complesso e ironico percorso di conoscenza: si fanno esami del sangue, test psicoattitudinali e altre indagini. Se all'inizio Mo viene classificato come maschio e quindi vestito, intrattenuto, educato come tale, all'improvviso si scopre che in realtà è una giovane donna e tutto deve essere cambiato: la scuola, gli amici, il look, le attività da fare, perfino l'arredamento della stanza.
Mano a mano che si procede nella lettura, assumiamo sempre più il punto di vista di Mo, sbigottito e anche deluso dal modo con cui i terrestri etichettano le persone, precludendo loro determinate possibilità.
Non vi racconto la fine del romanzo, ma è ovvio che, al di là dell'assurdità della situazione, è evidente come la nostra società metta in atto una serie di meccanismi impliciti e sottili di definizione sociale.
In fondo me lo dicevano anche all'università: "il sesso è natura, il genere è cultura".
Questo post partecipa all'iniziativa Blog tank del mese di Marzo.
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